The favourite è l’ultima opera del regista greco Yorgos Lanthimos, con protagonisti Emma Stone, Rachel Weisz ed Olivia Colman. Presentato ieri alla settantacinquesima Mostra del cinema di Venezia, si presenta già come uno dei film più apprezzati e riusciti, in lizza per aggiudicarsi il Leone d’Oro.
The favourite – sinossi
Nel XVIII secolo l’Europa è teatro dello scontro tra Francia e Regno Unito. La regina britannica, Anna (Colman), volubile e capricciosa, è coadiuvata da lady Marlborough (Weisz). Ella, di fatto, è il vero centro nevralgico del palazzo: non si limita ad influenzare pesantemente le decisioni politiche della sua sovrana, ma le fornisce un più che intimo conforto nella sua malattia e nei suoi più reconditi desideri. Quando una cugina di lady Marlborough, Abigail (Stone), giunge a corte per trovare un impiego, il posto privilegiato di “favorita” viene messo bruscamente in gioco, innescando una lotta tra le due primedonne senza esclusione di colpi.
The favourite – impressioni
Lanthimos torna a parlare il suo linguaggio fatto di una sferzante ironia, e collocando il proprio discorso nell’ormai consueto contesto aristocratico/borghese. Anzi, mai come in questo caso l’obiettivo polemico del regista di Atene si rivela in tutta la propria evidenza: l’attacco all’aristocrazia asservita a qualsivoglia potere od ordine costituito è frontale e spietato. Rispetto alla precedente filmografia, The favourite si limita a retrodatare la complessiva poetica di Lanthimos, senza che ciò ne scalfisca minimamente la portata.
The favourite si sviluppa esclusivamente su un triangolo sentimentale declinato tutto al femminile: lei, lei e l’altra, con i due vertici bassi rappresentati da due donne che entrano in competizione per assurgere al ruolo di “Favorita”. È all’interno di questo inconsueto triangolo che il film rivela tutta la sua carica emotiva e tensiva, mettendo in bella mostra in maniera diretta, ed a volte persino voluta-mente ed eccessivamente esplicita, le motivazioni e le tendenze di due donne tanto spregiudicate quanto determinate. Due donne che, nella loro concorrenza, esplicitano la vera natura della classe che sono chiamate a rappresentare: brama di potere; godimento nell’assoggettamento; invidia; spregiudicatezza; inganno; falsa ed interessata lusinga; violenza. Lady Marlborough e Abigail si scambiano spesso i ruoli in questa dinamica dissacrante, a tratti iperbolica, altrettanto spesso sgradevole a vedersi.
Lo spettatore, impossibilitato a schierarsi di fronte a tali “simpatiche” brutture, assiste alla frantumazione di una casta della quale probabilmente fa anche parte, ma che altrettanto probabilmente gode nel veder smascherata nelle sue meschine motivazioni di fondo. Abilissimo costruttore e narratore di storie, Lanthimos riesce nell’impresa di coinvolgere il pubblico e di farlo sorridere, pur esibendo comportamenti che nessuno loderebbe in un contesto pubblico.
The favourite gode di tre interpretazioni azzeccatissime. Sorprendente la Stone, capace non solo di una disinvolta metamorfosi da impacciata sguattera a donna di corte, ma anche della successiva incarnazione di tutte le pose (estetiche e non) alle quali ambiva. Superba la Weisz, in grado di alternare l’algida fierezza e la razionale spietatezza di una donna incastonata nelle trame del potere, e sicura – a torto – di non poter essere più degradata. Ma a colpire di più, in questo trittico, è la prova della Colman nei panni di una sovrana particolarissima ed a tratti irresistibile: volubile, capricciosa, malata di gotta eppure, fino all’ultima scena, sempre in grado di calamitare l’attenzione dello spettatore. Una prova immensa quella della Colman, che da sola vale realmente il prezzo del biglietto. E che evidenzia ancora una volta le straordinarie capacità di Yorgos Lanthimos, che ormai si dimostra un eccellente direttore di attori.
Girare un film in costume consente a Lanthimos di universalizzare la sua sferzante visione, che in precedenza aveva situato in distopici futuri ed inquietanti presenti. La sua parabola, in un certo senso, mostra una certa tendenza all’addolcimento estetico, sebbene non tematico. Riprendendo la lezione di Michael Haneke, ed addolcendola con un tocco che rende assai più fruibile l’impostazione visiva, il regista ha scelto la maestosità dei palazzi settecenteschi e la regalità del film in costume. Un’operazione, questa, che richiede un enorme lavorazione in ambito scenografico. L’occhio dello spettatore può indugiare a piacimento per cogliere la bellezza dei magnifici drappi, delle tavolate imbandite, dei lunghi corridoi e degli splendidi esterni: l’occhio è sempre più che appagato.
Pur essendo decisamente lontani dagli standard kubrickiani di Barry Lyndon, non meraviglia che le scene di The favourite possano ricordare a grandi linee la lezione del maestro americano: grandangoli, campi lunghi, carrellate e panoramiche magistrali, così come una profondità di campo abbastanza costante per tutto l’arco del film. Eppure, in presenza di tanta perizia tecnica, spiace evidenziare un utilizzo del fisheye che è, nella migliore delle ipotesi, assolutamente poco azzeccato. Nemmeno lo spettatore più distratto può sfuggire a quella fastidiosa sensazione di deformazione, data dal passaggio da un grandangolo ad un’immagine tanto distorta. Ma si tratta di una pecca che, dopotutto, può anche essere perdonata ad un’opera fondamentalmente ben confezionata.
di Vito Piazza