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Questi sono i dieci migliori film del 2016 secondo Giulio Sangiorgio, dal n.2 di gennaio 2017 nuovo direttore responsabile di Film Tv. Di seguito nel dettaglio le recensioni dei film scelti, estratte dall’Annuario 2017.
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1 – Le Mille e una notte – Arabian Nights
di Miguel Gomes
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“«Questo film non è un adattamento del libro Le mille e una notte, anche se si ispira alla sua struttura. Le storie i personaggi e i luoghi raccontati da Shahrazad sono una rielaborazione di fatti avvenuti in Portogallo tra l’agosto del 2013 e il luglio del 2014. In quel periodo il paese era ostaggio di un programma di austerità economica attuato da un governo privo di giustizia sociale». Si aprono su queste parole, Le mille e una notte di Miguel Gomes: tre film (Inquieto, Desolato, Incantato), 381 minuti, l’idea di un’opera «con il popolo e per il popolo». Un viaggio in Portogallo come Aquele querido mês de agosto, un baraccone cinematografico come fosse teatro ambulante del Settecento, ovvero una raccolta di storie del villaggio messe in scena immediatamente da un gruppo d’attori, raccontate con caricature ridenti o piangenti: si osserva il paese, si accumulano le cronache del Portogallo in miseria (tra i collaboratori di Gomes un gruppo di giornalisti), e poi lo si rappresenta, lo si testimonia e reinventa, «si cerca di fare qualcosa». E questo qualcosa è una novellistica umile e affamata, uno sperpero di storie (perché qui, come nei film di Apichatpong Weerasethakul, ogni particolare e ogni istante possono aprire racconti nei racconti), un cinema pauperistico dello spreco, che alle strette dell’economia risponde con la bulimia dello storytelling. Gomes parte dal luogo d’arrivo di Bella e perduta: «Non si può fare un film militante che evade la realtà», e aggiunge: «È stupido raccontare storie meravigliose nella schiuma dei giorni». E allora il suo film cerca la misura (ed è l’anti-Gianfranco Rosi, quando sostiene: «C’è un legame metaforico tra gli operai licenziati e l’eliminazione delle vespe, ma non so quale sia: sono stupido»): abbraccia il documentario (l’apertura sui cantieri navali di Viana do Castelo) al Carnevale (l’infinito processo di Desolato, apice tragicomico dell’opera), sperimenta rapporti audio/video/testo, scioglie la satira sboccata nel conte morale, stringe Sergio Citti a Manoel de Oliveira. Al quadro mesto sul reale oppone l’arte povera di una fiction in costumi elementari e sfacciati anacronismi, la ricerca di una fuga, il piacere dell’aneddoto, la prospettiva eccentrica (si pensi alla studentessa cinese che, in Incantato, racconta le proteste). Lo sforzo di creazione contro la constatazione amara. Le uniche cose che il cinema può fare. Dire di un paese e fondare un mondo. Ascoltare. Raccontare.”
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2 – The Neon Demon
di Nicolas Winding Refn
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“The Neon Demon è l’incarnazione della “malattia” e la sua medicina. È la fascinazione ipnotica del “male” e l’intuizione di un mistero che ci sfugge, esaltato dalle superfici cromate, dalle immagini stilizzate e solenni, dall’estasi stroboscopica, dal feticismo della definizione (quella vecchia lente anamorfica che traduce Photoshop).”
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3 – Spira Mirabilis
di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti
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“Come vedere, meglio: come mettere in scena, filmare, l’immagine che non può essere vista? Come creare un tessuto in grado di intrecciare questa con le immagini ancora da scoprire? L’immortalità evocata da D’Anolfi e Parenti attraverso gli indiani d’America, le meduse di uno scienziato giapponese, due artigiani svizzeri e il sereno dedalo del Duomo di Milano, non è una tentazione metafisica, ma un richiamo al fare; un’apologia del restare ancorati alla materia oscura del lavoro e del cinema; nel mondo, fra gli uomini. Qui e ora. Nel flusso visivo da loro orchestrato, i due registi trovano una libertà inaudita che nemmeno i precedenti, eccellenti lavori lasciavano presagire. Spira Mirabilis è un gesto che diventa canto.”
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4 – Ma Loute
di Bruno Dumont
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“Un film comico radicale, una continua, programmatica ricerca della catastrofe cinematografica. Perché la materia prima del cinema, per Dumont, è nello spettatore. È il rapporto tra le immagini sullo schermo e le immagini che ognuno porta con sé. Previsioni, pregiudizi, schemi interpretativi, sceneggiature consunte. Perché – nel film lo si dice chiaramente – abituati come siamo a guardare, non riusciamo a vedere.”
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5 – Cavallo Denaro
di Pedro Costa
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“La vocazione di Cavallo Denaro è fotografica, ben prima che narrativa. Procede per scene irrelate, in quella Fontainhas cancellata dalle asfittiche architetture del progresso al tempo di Juventude em marcha, e mette ancora Ventura al suo centro, un immigrato capoverdiano con cui Costa si relaziona da lunghissimo tempo. Non è un personaggio: è una persona. E in quell’ospedale, che è fabbrica e che è probabilmente cimitero, in quel non luogo in cui il tempo è allentato, Costa cerca di leggere l’eterno presente di Ventura. Come in uno scatto fotografico lentissimo, sospeso.”
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6 – The Assassin
di Hou Hsiao-hsiuen
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“The Assassin è un melodramma marziale che lascia tramortiti per l’intima, ricercata, ma anche viscerale bellezza. Senza i trucchi soliti del wuxia (tipo voli-di-tizi-legati-a-cavi-d’acciaio), ai quali non poté rinunciare neanche Wong Kar-wai nel suo pur magnifico Ashes of Time, il maestro Hou compone una sinfonia visiva che fonde ellissi narrative e precisione mistica dell’azione, partendo dal bianco e nero dell’incipit per poi attraversare stati d’animo di tutti i colori, in un crescendo di estasi guerriera tra il poetico e l’iperrealista. Forse c’è un sottotesto politico (Tian Ji’an non è condannato per corruzione ma perché dissidente, e il regista è naturalizzato taiwanese…) tuttavia conta meno della potenza di uno sguardo che vola altissimo come la straordinaria protagonista. Capolavoro.”
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7 – Neruda
di Pablo Larraín
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“Neruda non è solo un’idea, un verso ispirato, un protettore dei più deboli, ma un uomo grasso e pelato, profondamente terreno. È un poeta, ma la prosa lo sovrasta. Il respiro, la grandezza del personaggio, invece non vengono mai infranti, ma si amplificano e si alimentano all’interno di un’opera dove la densità tematica si rispecchia in una messa in scena vorticosa e astratta.”
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8 – 10 Cloverfield Lane
di Dan Tracthenberg
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“La tensione di 10 Cloverfield Lane – spettacolare allegoria dell’ossessione del contagio, e del Grande fratello d’oggigiorno – nasce dalle lacune del sapere, come in quel primo Cloverfield limitato dallo sguardo di una macchina in prima persona, come in tutte le mystery box prodotte da J.J. Abrams: cosa c’è all’esterno? E cosa nasconde l’omone che si dice salvatore? Kammerspiel e psicosi, paranoia e potere: e per lo spettatore, coerentemente, un fuoco di fila di esche, di dettagli da unire, un gioco al complotto, in cui s’attende il tassello mancante.”
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9 – I miei giorni più belli
di Arnaud Desplechin
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“Desplechin riesce a mettere in film il concetto di durata di Henri Bergson, “il tempo della vita” come un gomitolo che perpetuamente si arrotola su se stesso, si inspessisce senza mai ripetersi. Dédalus cerca se stesso, il film prende la forma della sua memoria, buchi e riscritture compresi (con sguardi in macchina, ralenti, split screen a strappare il romanzo); eppure scopre che trovarsi a volte vuol dire lasciar posto a un altro, lasciarsene narrare.
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10 – The Visit
di M. Night Shyamalan
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[sf_button colour=”accent” type=”standard” size=”standard” link=”https://www.filmamo.it/scheda/the-visit” target=”_blank” icon=”” dropshadow=”no” extraclass=””]Cerca la miglior offerta su Filmamo[/sf_button]
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“Il formalismo elegante di Shyamalan si applica all’abusata estetica POV, deride le regole del genere con i commenti della giovane filmaker e scolpisce le medesime per creare paura: contratta parodia e terrore, provoca il senso dell’osceno (la vecchiaia come orrore) e sfida sfacciatamente quello del ridicolo, e, come sempre, irride i pregiudizi di chi non sa guardare. Un Hansel e Gretel contemporaneo, una fiaba sul superamento delle fobie figlie del narcisismo 2.0, ma, soprattutto, un paradossale, cattolicissimo, esasperato mélo familiare, l’ennesimo sublime banco di prova per la comunità e per i suoi affetti.”
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